LOMELLINA TERRA D'ACQUA Fiumi, canali, rogge, torrenti e fontanili La lomellina ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est. Il terreno lomellino ha natura generalmente sciolta, dovuta all'origine alluvionale dello stesso. Lo strato superficiale poggia su potenti strati ghiaiosi; fatto, questo, dal quale derivano l'alto grado di drenablilità dei terreni e, quindi, consumi idrici relativamente elevati, a causa anche della presenza di profonde incisure costituite da fiumi e torrenti che determinano un forte effetto drenante. Le precipitazioni presentano una media annua di circa 950 mm distribuiti in 80 giorni di pioggia; nel semestre estivo (aprile-settembre) le precipitazioni sono pari al 55% del totale annuo. Questi fattori ne fanno una terra ricca di acqua, infatti era una gigantesca palude, trasformandola con meticolosi interventi d'ingegneria idraulica nel corso dei secoli nella terra fertile che oggi possiamo ammirare. Un complesso sistema di regimentazioni delle acque permette di irrigare praticamente qualsiasi fazzoletto di terra lomellina. Le fonti di approvigionamento sono quattro dal Po e di Dora Baltea, derivano 58 m/s tradotte dal canale Cavour, dal Ticino, derivano 93 m/s convogliate dal canale Regina Elena, dai Navigli Langosco e Sforzesco e dalla roggia Magna-Castellana dal Sesia, derivano 27 m/s dalla roggia Mora, dalle rogge Busca e Biraga, dal Roggione di Sartirana e da altre derivazioni minori,l’elevata permeabilità del suolo, i notevoli fabbisogni idrici richiesti specie dalla coltura del riso e l’inadeguata disponibilità delle fonti idriche esterne hanno imposto fin dai tempi più antichi la necessità di sfruttare ai fini irrigui le acque sotterranee, le quali, impinguate dalle irrigazioni, riemergono attraverso i caratteristici “fontanili”, i cosiddetti “cavi sorgenti” numerose furono le iniziative irrigatorie legate, oltre che allo sfruttamento delle acque dei tre torrenti (Agogna, Arbogna e Terdoppio) che solcano in senso longitudinale il comprensorio dell’Est Sesia anche all’uso delle acque sotterranee attraverso l’apertura dei caratteristici “fontanili”contribuendo con 85 m/s e gli alvei drenanti dei fiumi che delimitano il territorio e dei torrenti che lo solcano da nord a sud, consentendo un efficace “riuso” delle acque irrigue. Solo l’aggiunta delle portate così derivate dalla falda freatica a quelle provenienti dalle fonti idriche esterne al comprensorio consente di raggiungere la disponibilità idrica necessaria all’irrigazione del comprensorio rendendo disponibili circa 262 m/s di acqua. La falda freatica esercita quindi un’insostituibile funzione di accumulo e di restituzione delle acque percolate nel sottosuolo dai terreni irrigati; in sostanza, la circolazione delle acque superficiali nella fitta rete di canali irrigui e di colo, il regime dell’irrigazione e della sommersione delle risaie ed i livelli della falda freatica mantengono tra loro un delicato equilibrio, la rottura del quale non solo porrebbe in grave crisi l’agricoltura del comprensorio ma determinerebbe imprevedibili modificazioni nelle caratteristiche naturali di tutto il territorio. I fontanili posseggono anche aspetti di notevole interesse agricolo, naturalistico e storico-culturale, rappresentando una realtà che tuttora caratterizza e struttura il paesaggio della pianura irrigua. Il canale Cavour, realizzato in soli 3 anni dal 1863 al 1866, è derivato dal Po a Chivasso ed è integrato con le acque della Dora Baltea, a mezzo del canale sussidiario Farini, nei pressi di Saluggia. La sua lunghezza è di 86 chilometri, di cui 26 tra Sesia e Ticino; la portata massima all’imbocco è di 110 m³/s e quella ad est del Sesia di 85 m³/s. Le acque del canale vengono portate a destinazione a mezzo dei suoi diramatori: il diramatore Quintino Sella (portata 32 m³/s), che si diparte con direzione nord-sud a Novara ed è utilizzato fin dalla sua costruzione, nel 1872, oltre che per scopi irrigui anche per la produzione di energia idroelettrica; in territorio di Cilavegna si suddivide nei due subdiramatori Mortara e Pavia; il diramatore Vigevano (lunghezza 31 km, portata all’imbocco 28 m³/s) venne ceduto al Demanio dello Stato nel 1893 dai Comuni che l’avevano costruito e successivamente ampliato e prolungato. Il canale Regina Elena, iniziato nel 1938 ed entrato in esercizio nel 1954, deriva dal Ticino (utilizzando le acque del lago Maggiore regolato) e si immette nel canale Cavour in prossimità di Novara, dopo un percorso di quasi 25 chilometri; la sua portata all’imbocco è di 70 m³/s. Poichè l’invaso del lago Maggiore rappresenta, specie nei periodi di carenza idrica, la più sicura fonte di approvvigionamento per l’intera rete, il canale Regina Elena ha per l’appunto la funzione - oltre che di estendere l’irrigazione a terreni asciutti - di integrare le ricorrenti deficienze del canale Cavour. Il Naviglio Langosco, costruito nel XVII secolo, è derivato dal fiume Ticino a Galliate con una lunghezza di oltre 43 chilometri. La cui esecuzione ebbe inizio nel 1613, per concessione di Filippo III, Re di Spagna e Duca di Milano, al Conte Guido Langosco. Fin dall’inizio della sua esecuzione si riscontrarono notevoli difficoltà, soprattutto di carattere finanziario, per cui il Conte Langosco si vide costretto a cedere via via quote della dotazione idrica dell’acquedotto, gettando così le basi per una gestione “condominiale” del canale. La lentezza con cui procedevano i lavori e la morte del Conte fecero temere per la conclusione dell’opera, che nel 1656 fu completamente abbandonata in stato di totale inattività. Solo la tenace volontà dei “Condomini”, guidati dall’Ospedale San Matteo di Pavia, permise il completamento del canale nel 1665, dopo oltre cinquant’anni dal suo inizio. Il Naviglio Sforzesco, derivato dal Ticino tra Galliate e Trecate, ha un percorso di 27 chilometri che lo porta, dopo un tratto in cui scorre parallelo al fiume, alla città di Vigevano e poi al tenimento della Sforzesca ove, riunendo altre acque provenienti dalla Sesia (roggia Mora), dal torrente Terdoppio e dai fontanili, dà origine ad una capillare rete irrigua che giunge fino al Po. La sua origine deve essere collocata nel 1445, per iniziativa del Comune di Vigevano, che poi lo donò al Duca Francesco I Sforza. Verso la fine del XVI secolo e maggiormente nel corso del XVII secolo, l’aggravarsi della situazione politica e di conseguenza il malgoverno della dominazione spagnola e il susseguirsi di calamità di ogni genere (guerre, carestie, pestilenze), provocarono nell’intera Pianura Padana una grave crisi che ebbe come conseguenza, tra l’altro, l’arresto delle iniziative irrigatorie. La roggia Mora, ha una portata di 12 m³/s ed una lunghezza di oltre 50 chilometri per condurre le acque del fiume Sesia, derivate oggi nel territorio di Prato Sesia, fino in Lomellina, a Vigevano e Cassolnovo, dopo aver raccolto le acque dei torrenti che il canale interseca sul suo cammino: Strona, Agogna e Terdoppio. Venne realizzata nel suo tratto attuale a seguito del diploma di Gian Galeazzo Sforza del 15 novembre 1481, che autorizzava Ludovico il Moro, zio e luogotenente del piccolo Duca, ad estrarre e derivare dalla Sesia tutta l’acqua che volesse e ad utilizzarla a suo piacimento nelle proprietà sforzesche del Vigevanasco. Per questo scopo Ludovico utilizzò la roggia, già esistente dal XII secolo, che portava le acque della Sesia a Novara realizzando nel 1487-1488 i lavori di ampliamento e di prolungamento di tale alveo, dopo aver stipulato appositi accordi con la Città di Novara per la salvaguardia della sua dotazione idrica. La roggia Busca, ha una lunghezza di 54 chilometri ed una portata di 34 m³/s, ed è derivata dal fiume Sesia. Si ha memoria dal 1380 con il nome di roggia Novarese (rugia Novariensis), fu costruita dalla Città di Novara per uso difensivo e di confine con il Vercellese e quindi ceduta, nel XV secolo, prima ai Duchi di Milano e poi a Luca Crotti. Dopo successivi cambi di titolarità la roggia divenne, nel 1616, di proprietà del Conte Ludovico Busca, che ne conservò la titolarità fino alla cessione alle Finanze dello Stato Italiano nel 1883, la roggia Biraga, anch’essa derivata dal fiume Sesia, venne costruita nel 1424, ha una lunghezza di 51 chilometri ed una portata di 27 m³/s. Realizzata per concessione 13 febbraio 1424 della Generale Credenza della Città di Vercelli al Consigliere Ducale Zanino Rizio o Rizzo e a Ludovico de’ Tizonibus di estrarre acqua dalla Sesia per condurla a Vicolungo e a Biandrate soprattutto per azionare i mulini. Passata poi in totale proprietà a Giovanni Stefano Rizzo, la roggia prese il nome di Rizza; lo stesso Rizzo, insieme a Pietro Birago, ottenne la concessione da Ludovico il Moro (4 marzo 1488) di realizzare la roggia Biraga, che unita alla Rizza formò la roggia Rizza-Biraga. La titolarità della parte spettante al Birago passò poi al Capitolo della Cattedrale di Vigevano, che la mantenne fino all’avvento di Napoleone. La Famiglia Boschi, che successivamente ne aveva acquisito la proprietà, la cedette poi Mora e il Naviglio Sforzesco. Il Roggione di Sartirana è la derivazione più meridionale del Sesia, destinata all’irrigazione della Lomellina; realizzato nel 1387, ha una portata di 27 m³/s ed una lunghezza di 27 km. l primo titolo giuridico che riguarda il Roggione di Sartirana è il diploma 24 ottobre 1387, con cui Galeazzo Maria Visconti concedeva a Beneventono de’ Turtis il privilegio di derivare acque dalla sponda sinistra del Sesia in territorio di Langosco per l’irrigazione del territorio di Sartirana. Con patente 1° maggio 1452 Francesco I Sforza investiva del feudo di Sartirana Cicco Simonetta, al quale perciò passò la proprietà del canale, allora chiamato Langosco. Anche questo canale subì vari trasferimenti di titolarità, finchè nel 1522 passò in piena proprietà alla Nobile Famiglia Arborio Gattinara, che lo mantenne fino alla sua cessione alle Finanze dello Stato Italiano (1857). Gli usi plurimi dell’acqua irrigua fanno parte della più antica tradizione irrigatoria, almeno per quanto riguarda la produzione di forza motrice ottenibile spesso su canali realizzati principalmente a tale scopo; ne sono un esempio le numerose rogge “molinare” , le cui acque venivano poi, a valle dei mulini, utilizzate per l’irrigazione. Va inoltre sottolineato che gli usi plurimi dell’acqua irrigua costituiscono un’importante attuazione dei principi generali “della razionale utilizzazione” e “degli usi plurimi delle risorse idriche”, caratterizzate dalla presenza di grandi canali irrigui e da capillari reti distributive, tali usi consentono non solo di utilizzare le acque d’irrigazione per produrre energia idroelettrica “pulita” ma anche di soddisfare, con le acque stesse, una vasta gamma di fabbisogni per usi diversi, soprattutto per l’approvvigionamento idrico delle imprese produttive, fabbisogni che altrimenti dovrebbero essere coperti con nuove derivazioni dalle fonti idriche esistenti (corsi d’acqua naturali e falde sotterranee). Per quanto riguarda i riusi dell'acqua irrigua, occorre tenere presente che nel comprensorio l’acqua, distribuita con i tradizionali metodi dello “scorrimento” (mais, foraggere ecc.) e della “sommersione” (riso), si riproduce sostanzialmente per due diverse vie: per via superficiale, attraverso le “colature” che dai campi irrigati affluiscono ai fossi di raccolta (“colatori”) nei quali, per somma di apporti, vengono a costituirsi portate idriche in grado di alimentare nuove utilizzazioni; per via sotterranea, attraverso la percolazione che dai campi irrigati e dai fossi irrigatori scende nel sottosuolo ad alimentare in forma determinante le falde idriche sotterranee; le acque percolate in parte riaffiorano naturalmente nei fontanili e sono poi nuovamente utilizzate per l’irrigazione; in parte vengono, attraverso i pozzi, sollevate meccanicamente e riportate in superficie per essere utilizzate a scopo industriale e potabile. La ricchezza di acque risorgive della zona ha generato più di una leggenda. Una tra le più popolari è legata a un fontanile che scaturisce nelle campagne tra Albonese e Cilavegna, dove ora si trova la stazione ferroviaria. Essa ha per protagonisti gli esseri umani e un mostro buono che proprio nel fontanile aveva fissato la sua residenza. Si narra che, in un giorno nevoso, il mostro, anzi, il cucciolo di mostro, serenamente addormentato nel suo letargo invernale sul fondo del fontanile, fosse stato destato da un rumore insolito. Affiorato dallo specchio d'acqua, si era reso conto che il rumore che l'aveva molestato era il pianto dirotto di un bambino che cercava di afferrare un fiocco di neve, pericolosamente proteso verso l'acqua. Il piccolo mostro aveva afferrato al volo il bimbo e l'aveva deposto incolume sulla riva, dalla quale il piccolo si era allontanato in fretta. Il giorno successivo il mostro ricevette la visita della madre del bambino che, per ringraziarlo, aveva portato un cesto di pane bianco. Alla vista dello strano essere la donna, più incuriosita che impaurita, si rese conto che nulla gli umani avevano da temere da lui e decise di fare partecipi della sua scoperta gli abitanti del borgo che, ascoltata la storia, decisero di "adottare" il cucciolo di mostro. Da allora gli fu permesso di vivere nel fontanile, e mai gli fu fatto mancare il pane fresco. Per contropartita gli fu chiesto soltanto di vegliare onde nessun rischiasse di nuovo di cadervi. Gli fu però concesso di uscir qualche volta, allo scopo di portare tra i borghigiani un po' di salutare terrore dell'inferno. Passarono i secoli, e il mostro, diventato adulto, forse troppo pigro per cercarsi una diversa sistemazione, non lasciò mai più il fontanile. E forse è ancora là, in costante veglia affinché nessun altro bambino rischi di cadere nell'acqua... C'è anche chi considerava il mostro del fontanile un vero e proprio orco, che di preferenza gradiva bambini (e adulti) che si macchiavano di malefatte! Una versione leggermente differente ha invece come protagonista un cavallino nero che poteva sbucare all'improvviso dal bosco della roggia (l'acqua) e costringere i passanti alla fuga scalciando e impennandosi. In queste favole si rintraccia la tradizione pagana degli "spiriti dell'acqua" e la credenza che alcune presenze incantate presidiassero e proteggessero la comunità.
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