FAGIOLO BORLOTTO Esistono varie qualità, il borlotto toscano, il borlotto di Carnia, i fagioli di Lamon, il Borlotto di Gambolò. È il fagiolo più consumato in Italia, si presta a tantissimi usi. La coltivazione prevede la preparazione del letto di semina e un’aratura profonda a 20-30 cm. Il seme viene messo sul terreno con 4-5 fagioli per posto; a distanza di 40 cm e e tra le file di 100 cm. nel periodo da aprile a luglio (in posti temperati). Il tutoraggio in caso di rampicanti, viene effettuato con l’uso di canne o pali di legno e la raccolta si effettua a mano da fine agosto a tutto settembre. Teme molto la siccità, la pianta appassisce durante le ore più calde, i baccelli contengono pochi semi o non raggiungono il pieno sviluppo è necessaria l’irrigazione. Il terreno più adatto al fagiolo è quello sciolto, fresco, fertile; esso non deve essere troppo calcareo, altrimenti i semi che si ottengono sono duri e di difficile cottura per l’ispessimento del tegumento. Il fagiolo si adatta ai terreni pesanti, purché questi non siano soggetti a formare crosta perché questa è un ostacolo gravissimo alle nascite delle piantine Molte sono le malattie del fagiolo, Antracnosi: è una malattia molto grave che può attaccare l’ipocotile delle giovani piante, le foglie e i baccelli. ruggine, muffa grigia. possono essere colpiti anche da afidi ragnetto rosso e il tonchio. I fagioli borlotti una volta sgranati, possono essere congelati immediatamente per mantenerne la bontà naturale. Garantiscono l'apporto naturale di vitamine, fibre, proteine e sali minerali necessari per una dieta equilibrata (100 g di borlotti contengono circa 110 calorie), contengono molto meno grassi rispetto alla carne ed in più hanno la lecitina, un fosfolipide che scioglie i grassi nel sangue ed evita l’aumento di colesterolo.
Il Borlotto di Gambolò La possibilità di utilizzare le leguminose nei terreni agrari per aumentarne la fertilità era già nota all’ epoca dei romani che, come si evince dagli scritti di Columella, avevano intuito come tale coltivazione potesse migliorare la produzione dei cereali seminati l’anno successivo, intuendo l’importanza della rotazione. L’uso delle leguminose è ribadito nel 1730, quando con la “rotazione di Norfolk” s’introduce la coltivazione del trifoglio per restituire la fertilità del terreno, depauperata dalle colture da rinnovo e dai cereali. Da quei tempi e fino all’avvento dell’agricoltura industrializzata, la rotazione quinquennale con un prato di leguminose triennale (erba medica o trifoglio), un cereale ed una coltura da rinnovo è stata alla base dell’agricoltura tradizionale. Per molto tempo nei comuni di Vigevano, Gambolò, Mortara e limitrofi, oltre alle foraggere è stata coltivata un’altra leguminosa destinata però all’alimentazione umana: il fagiolo borlotto. Questo legume ha per secoli rappresentato la fonte principale di proteine nell’alimentazione di tutti coloro che non si potevano permettere un consumo frequente di carne e per questo si è guadagnato la fama di “carne dei poveri”. La coltura era resa possibile dall’elevata disponibilità di manodopera, dalla necessità d’inserire appunto una leguminosa ad uso alimentare nella rotazione con cereali autunno-vernini, con il riso e il mais in alternativa ai prati di trifoglio e/o di medica. Il Borlotto di Gambolò si presenta come un inconfondibile baccello rosso con screziature color crema contenente semi di media dimensione di color rosso arancio con sfumature rubino. Questo legume, noto anche come Borlotto di Vigevano, in epoca recente è stato sull’orlo dell’estinzione, tanto da meritare un intervento di salvaguardia attuato dalla Coldiretti locale e dalla Pro-Loco di Gambolò tramite un progetto che prevedeva la riproduzione del seme originario e la sua diffusione a produttori interessati. Il Borlotto di Gambolò è ancora svincolato dai metodi e dalle quantità della grande distribuzione. Viene prodotto da alcuni coltivatori in poderi nei dintorni di Gambolò, seguendo metodi di coltura e raccolta tradizionali. Il seme, originario e selezionato, viene seminato ad aprile. La pianta, che è un rampicante, viene coltivata con l’ausilio di supporti a quattro piedi di legno di salice o di cannuccia di palude o di bamboo, esiste anche la versione nana che non necessita tutore. La raccolta del seme secco avviene dalla prima decade di luglio fino alla fine di agosto. In seguito a questa c’è la lavorazione, quasi interamente manuale, che prevede una sosta dei semi in cascina sull’aia. Il Borlotto di Gambolò è un legume versatile, oltre che squisito, come dimostra questa antica leggenda. Una contadina di Gambolò ospitò un giorno un arrogante cavaliere e, per preparargli la cena, riunì quel poco che aveva in casa: farina bianca e gialla, un limone, un cucchiaio di zucchero, un po’ di burro e un sacchetto di fagioli borlotti. Dopo aver cotto i fagioli, mescolò tutti gli ingredienti e li mise nel forno: il risultato fu la “torta ariosa”, così buona che guadagnò alla donna ben tre scudi d’oro ed entrò nella storia gastronomica di Gambolò dove ancora oggi viene prodotta artigianalmente. Ancora oggi vanto della Lomellina, è abitualmente abbinato a cereali e pasta, o preparato in risotto con la salsiccia. Ma grazie al suo sapore delicato, si presta anche ad abbinamenti insoliti: per esempio biscotti e dessert realizzati a base di Borlotto. Il Borlotto di Gambolò è ancora svincolato dai metodi e dalle quantità della grande distribuzione. Viene prodotto da alcuni coltivatori in poderi nei dintorni di Gambolò, seguendo metodi di coltura e raccolta tradizionali. E’ in fase di realizzazione un progetto a cura del Parco del Ticino a sostegno di questa produzione. Il territorio lomellino, ora occupato da una coltura prevalente il riso, in realtà è sempre stato a forte vocazione agricola, basata su forme sostenibili e con un panorama di colture variegato; come testimoniano le tipiche cascine lombarde articolate per le diverse attività produttive (zootecnia, bachicoltura, cereali, ecc.) disseminate sull’intero territorio ed ora, per la maggior parte, degne di essere recuperate. Tali strutture ricordano infatti l’impostazione delle corti benedettine, sorte con lo scopo di bonificare e mettere a coltivazione zone agricole depresse o devastate dalle invasioni barbariche. Altra testimonianza della presenza dei monaci sono le marcite, ora simbolo da proteggere all’interno del parco del Ticino, un tempo strumento necessario per il foraggio invernale, unico in Europa. La canalizzazione e le operazioni colturali necessarie per la creazione di tale strutture produttive hanno sicuramente permesso lo sviluppo della zootecnia in zona, con conseguente aumento del reddito pro capite. La rotazione era quindi fondamentale per permettere il mantenimento della fertilità del terreno, un controllo efficace delle erbe infestanti, una razionale ripartizione dei lavori agricoli svolti manualmente o al massimo agevolati dall’impiego del bestiame. Risòtt coi borlòtt Ingredienti: dose per 4 persone, Borlotti (peso lordo) gr. 500, Riso carnaroli gr. 300, Pomodoro freschi gr.200, Lardo o pancetta gr. 50, Parmigiano grattugiato gr. 30, Burro gr.20, 2 cucchiaiate di olio extravergine, Mezza cipolla piccola, Mezzo bicchiere di vino rosso, Brodo di carne lt. 1,200, Sale Lessare i fagioli mettendoli in acqua fredda salata, senza lasciarli stracuocere; poi scolarli. Porre a scaldare il brodo. Pelare i pomidoro dopo averli immersi per un minuto in acqua bollente, privarli dei semi e spezzettarli. Mettere in una casseruola la cipolla affettata sottilmente, il lardo pestato (o la pancetta a pezzettini), l’0lio e mettere del burro; lasciare rosolare lentamente. Aggiungere poi i pomidoro e farli cuocere per circa dieci minuti, indi unire i fagioli; quando si saranno bene insaporiti versare nel recipiente il riso e farlo tostare mescolando delicatamente, irrorarlo poi col vino rosso. Appena il vino sarà evaporato unire qualche mestolo di brodo; sempre mescolando ed aggiungendo altro brodo, a mano a mano che viene assorbito il precedente, portare il riso a cottura ‘al dente’. Assaggiare ed eventualmente salare: toglierlo dal fuoco, aggiungere il rimanente burro e due cucchiaiate di parmigiano grattugiato, mescolare bene poi coprire la casseruola con un telo e lasciare riposare il risotto per circa cinque minuti. Indi versarlo sul piatto di portata e servirlo con altro parmigiano.
Fagiolo di Lamon: fagioli erano conosciuti e coltivati fin dall’antichità: vasi contenenti questo famoso legume sono stati trovati in Perù nelle tombe del periodo pre-Inca, mentre altri documenti testimoniano che gli Egizi li offrivano alle loro divinità. I primi fagioli (Vigna sinensis o unguiculata), quelli che oggi chiamiamo "fagioli dall’occhio", erano originari dell’Africa subsahariana, mentre i borlotti, i cannellini e tutti gli altri innumerevoli tipi, invece, vennero scoperti insieme all’America. La specie dei fagioli americani, originaria del Messico e Guatemala e scientificamente chiamata Phaseolus vulgaris, si diffuse rapidamente in Europa, fino a soppiantare quella africana. Nel territorio bellunese questi legumi arrivarono verso il 1530, grazie al frate bellunese Pietro Valeriano (nome accademico di Giovan Pietro Dalle Fosse), funzionario del Papa Clemente VII, che da lui ebbe in dono una certa quantità di fagioli provenienti dalla Corte di Spagna. In realtà l'introduzione non fu facile nè rapida, soprattutto per via delle credenze legate alla scarsa digeribilità dei legumi secchi: il fagiolo riuscì ad imporsi in queste vallate soprattutto perché consentiva la consociazione con altre colture, permettendo agli agricoltori di ricavare dallo stesso appezzamento un maggior volume di prodotto. Nei secoli le vicende dei fagioli bellunesi conobbero alterne fortune. Nel 1700, per esempio, un saggio sull’agricoltura del Distretto di Feltre fa riferimento ad una qualità di fagioli molto ricercata e nello stesso periodo altri studiosi riconoscevano che i fagioli feltrini erano i migliori della provincia. Dell'importanza economica del fagiolo si parla invece nelle "Risposte del Comizio agrario di Feltre" (1869) di G.P. Bellati. "al prodotto degli animali tengono subito dietro quello del grano turco e dei fagiuoli; il primo però non basta al consumo della nostra popolazione, ed i secondi si esportano per due terze parti circa". E arriviamo ai giorni nostri: dal secondo dopoguerra in poi il fagiolo del Feltrino, meglio conosciuto con il nome del paese nel quale viene prevalentemente prodotto, Lamon, si è conquistato spazi sempre più importanti nella cucina e nella letteratura gastronomica sia a livello nazionale che internazionale e il Consorzio di Tutela, istituito nel 1993, sta portando avanti una serie di iniziative per recuperarne l’immagine, la quantità e la qualità. Il fagiolo di Lamon si produce nel territorio della provincia di Belluno, comprendente le comunità montane Feltrino, Bellunese e Val Belluna e si estende nei seguenti comuni: Alano di Piave, Arsiè, Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Lamon, Pedavena, Quero, S. Giustina, S. Gregorio, Lentiai, Mel, Trichiana, Belluno, Sospirolo, Sedico, Ponte, Vas, Limana, Sovramonte, Seren del Grappa. I.G.P. (Indicazione geografica protetta) REG. CEE numero 1263 del 01/07/96 Il prodotto immesso nel mercato deve recare la dicitura "Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese" seguito dalla menzione "Indicazione Geografica Protetta" e dall’eventuale contrassegno. A ulteriore garanzia del consumatore, nelle confezioni viene indicato il nome dell’azienda produttrice. Il prodotto viene commercializzato fresco o secco. Per i fagioli freschi sono consentite confezioni da 1, 5, 15 e 20 chili; per il prodotto secco sono consentite confezioni da 0,5, 1, 2, 5 e 10 chilogrammi. Sono quattro i tipi di fagioli di Lamon: lo "Spagnol", di forma ovoidale; lo "Spagnolet", più piccolo del precedente; il "Calonega", il più grande di tutti; il "Canalino", particolarmente aromatico ma ormai in disuso per via della buccia molto spessa. Operativo dal 1993, il Consorzio di Tutela del Fagiolo di Lamon si propone di distinguere, difendere e tutelare la produzione e il commercio del legume, il corretto uso della sua denominazione, salvaguardandone la tipicità e le caratteristiche. Il marchio apposto sulle confezioni garantisce che il fagiolo è prodotto con semente selezionata proveniente dall’altopiano lamonese e nell’arco di produzione delimitato dal Consorzio stesso. Attualmente in Consorzio conta più di 100 produttori associati.
Consorzio per la Tutela del Fagiolo di Lamon c/o Comunità Montana Feltrina 32032 Feltre (Bl) tel. 0439.303210
Sede Operativa c/o Pro Loco Lamon Via Resenterra 32033 Lamon (Bl) tel. 0439.794201
Nella commedia "Natale in casa Cupiello", Eduardo De Filippo proponeva pasta e fagioli come medicina per cacciare una febbre di origine "viscerale", ma il legume veniva impiegato in cucina già da millenni. La prima ricetta documentata la dobbiamo al famoso Marco Gavio Apicio, patrizio romano del I secolo d.C., che nel suo ricettario De re coquinaria li propone fritti e conditi con pepe o cucinati in tegame con finocchio verde e sapa, un mosto cotto piuttosto ristretto, antesignano dell’attuale aceto balsamico. Foto: dipinti di Annibale Caracci 'Il mangiafagioli'Bandito nel Medioevo dalle tavole dei potenti, che gli preferivano carne e selvaggina, era invece amato dal popolino che lo considerava afrodisiaco: "i fagioli generano il seme virile e solleticano al coito specialmente se mangiati con pepe lungo, zuccaro e latte vaccino", affermava Castore Durante nel 1535. Alla fine del 1500, quando dall’America giunse un tipo di fagiolo più carnoso e dal gusto più dolce e vellutato di quello asiatico, il legume diventò così popolare in Italia che Annibale Caracci dipinse il "Mangiatore di fagioli", ora custodito alla Galleria Colonna di Roma. Fu proprio il fagiolo del Nuovo Mondo a stabilirsi a Lamon trovando l’habitat perfetto per prolificare: i suoi "figli lamonesi" sono un prodotto dalla scorza sottile, con una polpa soda e cremosa, molto saporita, apprezzato in tutta Italia. Non sono molte, né tantomeno elaborate, le ricette che hanno per protagonista il fagiolo di Lamon e neppure conoscono stagioni. Basta semplicemente bollirli, condirli in insalata con le cipolle affettate sottili, accompagnarli con un uovo sodo o una fetta di salame per trasformarli in un pasto completo. Va d’accordo con tutto: con le verdure, la carne, le minestre, le paste, i pesci. Uno dei principali inconvenienti presentati dai fagioli è solo il lungo tempo di cottura richiesto che si può abbreviare ammollando in acqua il prodotto, oppure aggiungendo all'acqua di cottura del bicarbonato o altri sali alcalini, oppure ancora aggiungendo il sale solo alla fine della cottura. Tra i piatti più gustosi è doveroso ricordare la famosissima "pasta e fasoi", poi il cotechino con i fagioli, la zuppa d’orzo e fagioli, e i "fasoi in tocio".
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