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NOTIZIE DAL WEB


 
Autunno nero a Vigevano, cento posti a rischio
    03/09/2012 aggiunto da http://laprovinciapavese.gelocal.it/cronaca/2012/09/01/news/autunno-nero-cento-posti-a-rischio-1.5626130

VIGEVANO. «La situazione economica a Vigevano e in Lomellina è ancora molto preoccupante: considerando tutti i settori, il rischio è che un centinaio di licenziamenti, nel Vigevanese, purtroppo arriveranno in autunno, soprattutto tra le aziende che stanno per terminare la cassa in deroga». Carlo Gerla, segretario generale della Cisl pavese, prevede tre mesi molto delicati per l’occupazione nell’area di Vigevano e dintorni. «Nel meccanico calzaturiero, a Vigevano in modo particolare – sottolinea Gerla – le piccole aziende sono ancora in difficoltà e ci sono tante richieste di cassa integrazione, nuove, che partono dal 10 settembre fino alla fine di novembre. Ormai di analisi ne abbiamo quante ne vogliamo. Vanno trovate soluzioni e bisogna decidere azioni di politiche attive di sviluppo e crescita, per tutelare e conservare l’occupazione che c’è e cercare di recuperare i 5mila posti di lavoro persi in provincia dal 2008, da quando cioè abbiamo iniziato a sentire gli effetti della crisi».
Il settore più colpito è l’edilizia: «Oltre alla crisi, la mancanza di liquidità, le banche che non concedono mutui, c’è una situazione diffusa di paura e preoccupazione tra le famiglie, con una tassazione arrivata ormai al 47% ormai e si profila ancora più pesante». Ma tutto il settore dell’artigianato, dice Gerla, sta soffrendo in Lomellina: «Manca liquidità alle aziende, il 97% di piccole dimensioni e le banche non sostengono la situazione».
Le ore complessive di cassa integrazione richieste e autorizzate sono in aumento, spiega Gerla. «Crescono in tutta la provincia – dice il sindacalista – e le imprese di Vigevano e Lomellina pesano per il 60% sul totale. Sono in aumento anche le iscrizioni alla liste di mobilità, di fatto, i licenziamenti».
Sommando le ore autorizzate di cassa ordinaria, straordinaria e in deroga, spiega Gerla, «nel primo semestre 2011 erano 4milioni 800mila ore, nel primo semestre 2012 sono diventate 5milioni e 200mila, e il grosso, il 60% circa, è in Lomellina; nell’artigianato, 321.000 ore nei primi sei mesi del 2011, salite a 358.000 nel primo semestre 2012; nel commercio, 230mila ore di cassa in deroga nei primi sei mesi 2011 e nel 2012, 330mila ore; nel trasporto, nel primo trimestre 2012, 3.500 ore che nel secondo trimestre sono salite a 7.000; nel settore meccanico, nel primo trimestre 2012, le ore di cassa ordinaria autorizzate sono state 527.000, nel secondo trimestre 1.065.000 ore; l’edilizia nel primo trimestre 2012 contava 175.000 ore salite a 368.000 tra aprile, maggio e giugno».
«In autunno – spiega Anna Colombo, responsabile del settore tessile e calzaturiero per la Cgil – ci saranno aziende in difficoltà e in ritardo, per vari motivi, nel pagamento degli stipendi. Abbiamo anche sentore che molte aziende stiano per chiudere. Spesso si tratta di società ereditate dai figli che non se la sentono di continuare». Ci sono differenze tra i vari settori. «Senza dubbio – continua Colombo – l’edilizia presenta le maggiori difficoltà. Allo stesso tempo ha qualche problema anche il meccano calzaturiero, mentre il tessile e il calzaturiero non solo hanno tenuto bene, ma addirittura mostrano qualche lieve segnale di ripresa. Si parla anche di qualche assunzione».
Il segretario di Confartigianato Lomellina, Roberto Gallonetto, spiega: «Confrontato con altri settori, l’artigianato, nonostante la crisi, conferma la minore propensione a utilizzare la cassa integrazione, mentre rimane la necessità di poter disporre di ammortizzatori sociali efficaci e propri del settore. E questa è un’esigenza comune a livello nazionale e locale».


Malore per il leader dei Green Day ricoverato all'ospedale Maggiore
    03/09/2012 aggiunto da http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/09/02/news/malore_per_il_leader_dei_green_day_ricoverato_all_ospedale_maggiore-41857108/

BOLOGNA - Il cantante e chitarrista Billie Joe Armstrong, leader dei Green Day, è appena uscito dall'ospedale Maggiore di Bologna. Si è sentito male stamattina intorno alle 12.30 all'hotel Majestic, dove alloggiava in attesa del concerto previsto questa sera all'Arena Parco Nord, nell'ambito dell'I-Day Festival. L'esibizione è stata annullata, l'annuncio dato alle 19.30. "I biglietti saranno completamente rimborsati", ha garantito l'organizzazione, leggendo anche un messaggio della band che annuncia: "Torneremo a Bologna nel 2013".
Secondo quanto si è appreso, Billie ha accusato forti dolori gastrici in tarda mattinata, tanto che è stato avvertito il 118. L'ambulanza è arrivata poco prima di pranzo nell'albergo in pieno centro e l'ha trasportato in ospedale. Ricoverato al quarto piano, nel reparto di Medicina interna, il cantante di Oakland, 40 anni, è circondato dagli uomini della sicurezza. I medici gli hanno consigliato di trascorrere la notte in ospedale.
Il concerto bolognese avrebbe segnato il ritorno in Italia della band californiana dopo tre anni. Al Parco Nord erano già arrivate ventimila persone. La lunga giornata di musica era cominciata con l'esibizione dei gruppi All Time Low, Angels and Airwaves e Social Distortion. Più tardi erana prevista quella dei The Kooks e quindi, alle 21.15, il concerto dei Green Day. Ma a questo punto della scaletta è arrivato l'annuncio: "Il festival finisce qui". Fan in lacrime, qualche fischio, clima surreale.


Irlanda, Internet per tutti a non meno di 30 Mbps
    03/09/2012 aggiunto da http://nbtimes.it/prime/13691/irlanda-internet-per-tutti-a-non-meno-di-30-mbps.html

Roma – In una fase storica in cui in Italia si sente parlare di “assenza di Agenda Digitale”, di stasi di digital divide e di tanti buoni propositi, giunge dalla non lontana Irlanda una quota minima, ritenuta doverosa per garantire la connettività a tutti i cittadini: 30 Megabit al secondo.
Lo ha stabilito la scorsa settimana Pat Rabbitte, Ministro delle Comunicazioni, delineando un nuovo piano di connettività che mette persino gli Stati Uniti alla gogna, scrive Ars Technica: secondo il Ministro, metà della popolazione – più che altro nei nuclei urbani e suburbani – dovrebbero ottenere velocità comprese tra 70 e 100 (!!!) Megabit al secondo, con un servizio effettivo di almeno 40 Mbps nel restante 20 per cento del paese. E, per chiudere, si dovrà avere un “minimo di 30 Mbps per qualsiasi restante abitazione o ufficio del paese, a prescindere da quanto sia rurale o remoto“.
Questa misura – spiega Ars – fa parte dell’Agenda Digitale europea la quale, tra le altre cose, richiede agli stati membri di rendere pubblici i loro piani nazionali per la banda larga entro fine anno, al fine di portare una velocità minima (!!!) di 30 Megabit a tutti i cittadini entro il 2020. Entro lo stesso anno, l’obiettivo posto a tutti i paesi è quello di portare 100 Megabit a metà dei cittadini europei.
Solo nel 2009/2010, la Finlandia aveva annunciato di portare un minimo di 1 Megabit entro il 2010, un valore che ora ha portato a 100 Megabit con il limite del 2015.
In tutto questo il governo irlandese è pronto a investire fino a 175 milioni di euro, con il fine di colmare le lacune che sinora hanno impedito al mercato di portare la banda larga nelle aree rurali. Ciò non significa che sarà lo Stato a pagare la connettività: significa solo che intende accertarsi della disponibilità di un livello minimo di servizio in tutte le aree del paese.
Le sovvenzioni statali saranno erogate solo laddove sia evidente che il mercato non provvederebbe”, spiega (con PDF) il Piano Nazionale per la Banda Larga del Dipartimento delle Comunicazioni, chiarendo quali meccanismi verranno adottati per erogarle. E non è il solo progetto da “ammirare”: obiettivi molto simili li ha il (quasi del tutto ignorato dai media italiani) progetto BroadBand for the Rural North (B4RN), sul cui sito è spiegata e illustrata, anche con filmati, l’essenza dell’iniziativa.
E l’Italia? Come sempre: il mondo corre, l’Italia sta a guardare (cit.).


Lavoro, piano per meno tasse
    02/09/2012 aggiunto da http://www.ilmessaggero.it/economia/lavoro_tasse/notizie/217140.shtml

ROMA - L’ipotesi è sul tavolo e alla Ragioneria generale dello Stato stanno facendo i conti: ripristinare i vecchi parametri per la detassazione dei premi di produttività. Quelli che recentemente lostesso governo Monti ha ridotto, seppure come conseguenza di una decisione sulle risorse disponibili adottata dal governo Berlusconi. D’altronde la misura è chiesta a gran voce sia dai sindacati che dalle imprese. Anche se entrambi i fronti fanno notare che certamente l’eventuale provvedimento non è sufficiente da solo a rilanciare la crescita.
Ci vuole ben altro. Come ad esempio un intervento più deciso sul cuneo fiscale e contributivo. Il ministro del Welfare Elsa Fornero nel suo intervento al meeting di Rimini aveva accennato ad una sperimentazione in tal senso. «Incentiveremo le imprese che presenteranno un bilancio del capitale umano, che ricalchi i bilanci sociali» aveva detto la Fornero. Una proposta che forse, nonostante il velo di silenzio che l’ha immediatamente coperta causa scarsità di risorse, potrebbe non essere stata accantonata del tutto. Anche in questo caso si starebbero facendo delle prime simulazioni, con l’individuazione di alcuni criteri oggettivi che l’azienda dovrebbe rispettare per poter usufruire della decontribuzione: percentuale di precari sul totale degli occupati, percentuale di donne sulla forza lavoro totale, over 50 riqualificati, ecc.
Insomma il governo si starebbe convincendo che, per poter rilanciare la competitività non può chiedere alle parti sociali di mettersi d’accordo tra di loro e basta; sul piatto deve mettere qualcosa. E allora, meglio giocare d’anticipo e, negli incontri che avrà il 5 settembre con il fronte delle imprese e l’11 con i sindacati, iniziare a tastare il terreno per capire quali potrebbero essere le misure mirate e concrete affinché la fase 2 della crescita possa davvero iniziare i primi passi.
In attesa di vedere le carte, da viale dell’Astronomia comunque avvertono: i risparmi della spending review devono andare a stimolare misure della crescita a tutto tondo. «Bene misure a favore della produttività, ma per la crescita servono anche interventi sul cuneo fiscale e contributivo, incentivi alla ricerca e all’innovazione, un programma di infrastrutture, una più decisa azione sulla semplificazione amministrativa» dice Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. «L’emergenza è il lavoro. Se non si interviene rapidamente il Paese non riesce a uscire dalla crisi in cui si è avvitato. Non abbiamo bisogno che sia il governo a dire alle parti sociali cosa devono fare sulla produttività, ciò che ci piacerebbe è che il governo si appresti ad un cambio della propria agenda, e riparta dal tema del fisco, dalla necessità di ridare risorse al lavoro e alle pensioni e quindi faccia ripartire i consumi» dichiara il leader Cgil, Susanna Camusso.
Di certo l’aggravio di costi imposto alle imprese dalla riforma del mercato del lavoro (ad esempio il contributo addizionale dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali sui contratti a termine) non è propriamente in linea con la necessità in tempi di crisi di aiutare le imprese in difficoltà. Così come stride con i proclami di stimolo agli accordi aziendali di secondo livello, il decreto attuativo sul bonus di produttività pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio scorso. Rispetto alle regole in vigore dal 2008, infatti, si è deciso per una doppia stretta: l’imposta sostitutiva del 10% sul salario di produttività potrà essere applicata per un importo massimo detassabile di 2.500 euro anziché i 6.000 precedenti, e solo sui lavoratori dipendenti che hanno una retribuzione lorda annua non superiore ai 30.000 euro (prima era 40.000). Secondo le prime stime i nuovi tetti taglieranno di circa due milioni la platea di lavoratori beneficiari del bonus. Inoltre se non verranno cambiati i parametri del decreto, l’agevolazione diventerà quasi inesistente nel 2013: lo stanziamento previsto per quest’anno è di 835 milioni di euro, ma il prossimo diventeranno 263. Cifre assolutamente insufficienti. Basti pensare che secondo stime attendibili nel 2011 la detassazione dei premi di produttività (ci rientrano anche gli straordinari e il lavoro notturno) avrebbe ”consumato” un miliardo e 800 milioni di euro, più del doppio della cifra stanziata.


Talidomide: 10 mila vittime e dopo 50 anni le scuse
    02/09/2012 aggiunto da http://www.vitadamamma.com/41921/talidomide-10-mila-vittime-e-dopo-50-anni-le-scuse.html

Talidomide - farmaco usato come rimedio antinausea deurante la gestazione. La sua somministrazione alle donne in stato interessante generava malformazioni nel feto: 10 mila bambini sono rimasti offesi da tale "cura". Oggi, dopo 50 anni, le scuse della ditta produttrice.
La nausea è uno dei sintomi della gestazione più diffusi e più fastidiosi. Non di rado le sensazioni di disgusto e pienezza tipiche della nausea ostacolano anche il benessere psicologico della donna gravida. È per questo che da sempre la ricerca clinica cerca rimedi capaci di arginare disturbi come nausa, vomito e scialorrea.
Correva il 1956 quando la compagnia farmaceutica tedesca Gruenenthal presentò al mercato farmaceutico un “moderno” medicinale antinausea: il Talidomide.
Negli anni che intercorsero tra il 1956 e il 1961\62 il Talidomide, proposto sotto quaranta nomi commerciali diversi, fu somministrato alle donne gravide di 50 paesi tra cui anche l’Italia.
Il 2 dicembre del 1961 “la cura” scomparve dai banconi delle farmacie.
Il Talidomide non era solo un medicamento da gestanti era principalmente un farmaco ipnotico.
Nel 1961 si appurò con certezza che la sua somministrazione alle donne in stato interessante nuoceva alla salute del fetodeterminando gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti.
Le donne che durante la gestazione avevano assunto il Talidomide partorivano bambini senza arti o affetti da più o meno sensibili riduzioni delle ossa lunghe delle braccia o delle gambe.
Le patologie, invalidanti e gravi, compromettevano la salute e a volte vita stessa degli sventurati bambini.
L’affezione, generalmente più a carico degli arti superiori che non di quelli inferiori, risultava frequentemente bilaterale, crescendo i soggetti offesi dagli effetti collaterali della Talidomide si sono trovati costretti a convivere con un male che gli ha “legato braccia e mani” inibendo anche le più semplici e comuni azioni umane.
Vincenzo Tomasso, uno dei “sopravvissuti al Talidomide, presidente dell’Associazione Thalidomidici Italiani racconta così la sua vita con un male incurabile:
“Sono il primo di quattro figli, l’unico per fortuna che ha avuto questo problema.
Il mio caso suscitò abbastanza scalpore, io vivo in paese vicino Frosinone ed ero probabilmente l’unico in tutta la provincia.
Alcuni amici consigliarono a mio padre di ricoverarmi in un istituto, anche se per fortuna mia madre poi mi riprese subito con sé, cosa che per molti non succede. Ci sono alcuni che sono stati abbandonati tutta la vita in istituti che sembravano dei veri e propri lager“.
La disabilità è una realtà dolorosa che la società moderna, per quanto civile possa essere, ancora non riesce ad accogliere e considerare come parte di sé. Vincenzo Tommaso graffia l’animo dell’interlocutore quando dice:
“Io mi posso ritenere fortunato, ho avuto sempre vicino persone che mi hanno aiutato, ma non sempre è così.
La nostra non è una vita facile né dal punto di vista fisico, perché tutte le operazioni più facili della vita quotidiana – a causa proprio delle malformazioni alle braccia e alle mani – diventano impossibili per chi ha subito dei danni così gravi, né da quello psicologico.
Basta camminare per strada per vedere la curiosità negli occhi della gente, che riporta sempre il problema alla mente, è impossibile dimenticarsene”
Perché oggi la scioccante e triste vicenda del Talidomide, vecchia di cinquant’anni, torna a fare notizia?
Una volta resi noti gli effetti del farmaco sui feti la ditta produttrice scelse la via del silenzio, così per 50 anni la Gruenenthal ha negato una spiegazione alle famiglie vittime del Talidomide e non ha compiuto nessun gesto di umana pietà in favore dei bambini affetti dalle malformazioni provocate dal farmaco stesso.
Nel 1972 la stessa Gruenenthal, pur non ammettendo le proprie responsabilità, liquidò le vittime tedesche con un risarcimento.
La ditta farmaceutica ha sempre ribadito in sua difesa di avere compiuto sul farmaco ogni accertamento clinico necessario. Le voci che si sono rincorse in questi anni risultano completamente differenti: c’è chi ritiene che l’ipnotico Talidomide prima di essere somministrato alle donne gravide non sia mai stato testato su cavie in stato di gravidanza.
All’inizio degli anni ’60 fu rivista Lancet a far scoppiare le polemiche più accese: pubblicò uno studio su cavie incinta trattate col farmaco incriminato. Il lavoro dimostrava inequivocabilmente che la somministrazione di Talidomide determinava la nascita di nidiate con gravi malformazioni agli arti. E la gravità delle patologie aumentava quando l’assunzione del farmaco avveniva durante le prime sette settimane di gestazione.
L’amministratore delegato della Gruenenthal dopo 50 anni è tornato a parlare di Talidomide e lo ha fatto in un modo eclatante ovvero chiedendo scusa alle vittime. Oggi, nel 2012, durante la cerimonia di inaugurazione di un monumento per le vittime, arrivano le scuse dell’azienda farmaceutica Gruenenthal.
Tali scuse ammettono una responsabilità mai apertamente svelata.
Queste le parole dell’amministratore delegato:
«Vi preghiamo di perdonarci per i 50 anni in cui non vi abbiamo mai parlato ad un livello umano, ed invece siamo rimasti in silenzio.
Il Talidomide sarà sempre parte della storia della nostra compagnia. Noi abbiamo una responsabilità e la affrontiamo apertamente».
Queste le parole, appunto, ma di fatto fuori dalla Germania nessuna vittima è stata mai risarcita per i danni subiti.
Solo in Italia si stima che le vittime del farmaco ancora in vita siano trecento. E sarebbero state complessivamente settecento i martiri italiani del Talidomide.
Nel mondo 10mila bambini avrebbero subito i negativi effetti del farmaco.
A fronte di queste cifre l’auspicio è che alle parole seguano i fatti per recuperare il tempo perso e per ridare dignità a quelle vite il cui destino è stato segnato da un fatale errore umano, irragionevole e scellerato.
La medicina, le scienze farmaceutiche e le ricerche cliniche in generale dovrebbero essere sempre e solo orientate al benessere umano ed al progresso di un sapere volto a migliorare la vita, i suoi standard e la sua qualità.

Chiocciola Tecnologica di Lorini Marco P.I. 02386970186